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“Eh, mia nonna è morta a 90 anni e mangiava pane, pasta e latticini!” - Ecco perché una della convinzioni popolari che invaliderebbe la GeoPaleoDiet è una totale ASSURDITA'

26/05/2025

 

La cultura distorta e la dipendenza dai cereali/latticini fa dire questa maledetta frase praticamente a tutti, in modo da giustificarne il consumo quotidiano senza che ci fosse un domani.

I nipoti sbagliano, perché non tengono in considerazione che il cibo dei loro nonni era completamente diverso e non riescono proprio a capire che se imitano i loro parenti al giorno d’oggi rischiano veramente grosso…

Anche Jacopo Fo, figlio di Dario (premio Nobel per la letteratura) tirò fuori questa ideona per attaccarmi in una puntata di “Dritto e Rovescio” su Rete4.

Ma ecco tutta la verità sui nonni…


Non c’è verso.

Ogni volta che parlo o scrivo di GeoPaleoDiet dal vivo o sui social (soprattutto al di fuori del mio gruppo FB paleoitalia e della pagina GeoPaleoDiet by Claudio Tozzi) esce fuori quasi sempre il fenomeno/a che tira fuori la storia del nonno/a che sono morti a 90 anni e, ovviamente, mangiavano di tutto.

E’ una reazione umana e per certi versi anche comprensibile, visto che si trovano di fronte qualcuno che improvvisamente gli dice che la loro alimentazione è un disastro e, per reazione, l’ appiglio dei loro longevi antenati che mangiavano pane, pasta, latticini e legumi gli sembra la cosa più logica da dire.

Normale.

Loro in questo modo pensano di dare un esempio concreto, apparentemente inattaccabile (come se a me non fosse venuto mai in mente…Mah…) contro la teoria della Paleodiet e nel contempo hanno una scusa per continuare a mangiare fette biscottate con un velo di marmellata, la mozzarella e la pasta all’ amatriciana, senza che nessuno gli rompa le scatole.

Perfino Jacopo Fo, figlio di Dario (noto attore teatrale e premio Nobel 1997), in una puntata di “Dritto e Rovescio” ( https://www.geopaleodiet.it/articoli/il-mio-intervento-a-dritto-rovescio-rete4-versione-integrale/ ) dove eravamo ospiti, dopo aver sentito le mie argomentazioni sulla Paleo Diet, tirò fuori la solita storiella: “Mio padre è morto a 90 anni e mangiava sempre la Cassoeula!”.

Peccato che la Cassoeula sia un succulento piatto della tradizione milanese ricco di carne (costine di maiale) e verdure stufate, quindi prettamente e rigorosamente GeoPaleo!

Insomma, Jacopo Fo è riuscito nell’incredibile impresa di tentare di smentirmi con il risultato (comico, deve essere una cosa di famiglia) di darmi ragione a sua insaputa…

Ma tolta questa variazione artistica sul tema, le frasi sono essenzialmente sempre le stesse:

- “L’uomo ha sempre mangiato i latticini,
adesso cosa è cambiato?”

- “Mio nonna mi preparava sempre pasta e pane e non è possibile che adesso facciano così male”

- “Nel passato i legumi erano la carne dei poveri ed adesso li volete mettere sotto accusa?”

O tutte le tre cose insieme…

Ma le cose non stanno per niente così, perché il grano negli ultimi decenni non ha quasi più niente a che fare con quello che mangiavano i nostri padri-nonni.

Il Grano ha avuto una moderata evoluzione genetica nel corso dei secoli, ma negli ultimi 50 anni ha subito processi di ibridazione e di incrocio, al fine di renderlo più resistente alle condizioni ambientali (legate soprattutto alla siccità) o agli agenti patogeni come i funghi.

Questo perché lo sfruttamento mondiale del grano in ogni sua salsa (pane, pasta, dolci, pizza, prodotti da forno, ecc.) aveva bisogno di una sempre maggiore resa per ettaro.

Ma questo non era possibile perché le spighe di grano originali erano troppo alte, ondeggiavano al vento e pioggia, cadendo spesso sul terreno alla fine molte non erano recuperabili per la raccolta.

In un primo tempo si pensò di aumentare la quantità di fertilizzanti per aumentare la resa, ma questo in realtà peggiorò la situazione in quanto le spighe crescevano ancora di più, diventando ancora più pesanti fino a piegare lo stelo, fino ad ucciderle.

Ma negli anni ’50 il genetista americano Norman Borlaug sviluppò delle varietà presso l’ International Maize and Wheat Improvement Center (CIMMYT), situato a Città del Messico.

Lo scienziato USA riuscì a produrre il cosiddetto “grano nano”, cioè una spiga più corta e tozza.

Si tratta di una varietà di frumento ottenuto incrociando una varietà giapponese, la Norin 10, con una americana, la Brevor 14, e altre messicane.

La varietà giapponese aveva la caratteristica di essere molto bassa, permettendo di poterla fertilizzare abbondantemente per aumentarne la resa il più possibile senza rischiare però che la piantina crescesse troppo e si afflosciasse di lato per il peso.

Quella statunitense invece di suo produceva una gran quantità di chicchi, mentre quelle messicane erano robuste e adatte al clima e ai patogeni della zona.

Tramite continui incroci e selezioni, Borlaug ottenne quindi un grano che fosse basso, che producesse numerosi chicchi e fosse adatto alla regione messicana.

La varietà ottenuta, anzi, le varietà (Pitic 62 e Penjamo 62) occuparono la quasi totalità dei campi messicani per il ’63, trasformando il Messico da importatore a esportatore di frumento grazie all’enorme crescita dei raccolti.

Per aver contribuito alla lotta contro la fame nel mondo nel 1970 Borlaug vinse anche il Nobel per la pace.

Anche in Italia il grano aveva ovviamente lo stesso problema e nel 1974 il Professor Gian Tommaso Scarascia Mugnozza, con un gruppo di ricercatori del CNEN (Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare) indusse una mutazione genetica del grano duro denominato “Cappelli”, esponendolo ai raggi gamma di un reattore nucleare per ottenere una mutazione genetica e, in seguito, incrociandolo con una varietà americana.

Dopo la mutazione, anche il Cappelli era diventato “nano”, con conseguente alta resa per ettaro e fu battezzato “CRESO” e con esso oggi si prepara ogni tipo di pane, pasta (il 90% di quella venduta in Italia), dolci, pizze, alcuni salumi, capsule per farmaci, ecc.

Attualmente, il grano nano ha sostituito tutte le altre varietà di grano negli Stati Uniti e in gran parte del resto del mondo.

Così sembra tutto bellissimo, ma in realtà questa storia ha un risvolto horror.

Per quanto sembri incredibile, infatti a nessuno tra USA, Messico e Italia venne in mente che ibridare mille volte il grano o addirittura bombardarlo con i raggi gamma poteva renderlo pericoloso per la salute umana.

Con la fretta di sfamare subito le popolazioni del terzo mondo, il grano nano venne subito seminato, raccolto e consumato senza quindi che nessuno si degnasse di fare degli studi sulla salute su un grano così “Frankenstein”, nemmeno dopo che le analisi avevano identificato 14 nuove proteine del glutine della pianta ibrida che non erano presenti in nessuna delle varietà ibridate.

Ma qui arriva il primo (di tanti…) problema, perché le varietà moderne dell’antico grano sono associate ad una maggiore quantità di geni associati alle celiachia.

Si stima che in Italia i soggetti celiaci (diagnosticati e non) siano circa l’1% della popolazione, per un totale quindi superiore alle 600.000 persone.

Il dato è da considerarsi in linea con la media Europea, anche se, andando poi a valutare nazione per nazione, è possibile renderci conto che in Stati come, ad esempio, la Germania l’incidenza scende a poco meno dello 0,3%.

Proporzioni simili a quella italiana possono essere riscontrate anche in Inghilterra, Spagna e Francia; mentre una maggiore incidenza si ha nel Nord Europa, con punte fino al 3%.

La celiachia è una malattia autoimmune in cui l'ingestione di glutine induce l'enteropatia, o infiammazione dell'intestino, in individui geneticamente suscettibili.

Questa distruzione dell'intestino significa che i nutrienti non possono essere assorbiti, portando a una varietà di sintomi clinici,

Mangiare cibi che contengono alte quantità di glutine come il grano nano può innescare una serie di sintomi intestinali, come:

- diarrea , che può avere un odore particolarmente sgradevole
- dolori di stomaco
- gonfiore e flatulenze
- indigestione
- stipsi

La celiachia può anche causare sintomi più generali, tra cui:

- stanchezza (affaticamento) come risultato di non ottenere abbastanza nutrienti dal cibo (malnutrizione)

- perdita di peso involontaria

- un'eruzione cutanea pruriginosa (dermatite erpetiforme)
- problemi a rimanere incinta (infertilità)

- danno nervoso (neuropatia periferica)

- disturbi che influenzano la coordinazione, l'equilibrio e il linguaggio (atassia)

- I bambini con malattia celiaca potrebbero non crescere al ritmo previsto e potrebbero avere una pubertà ritardata.

Le complicanze della celiachia tendono a colpire solo le persone che continuano a mangiare glutine o quelle a cui non è stata ancora diagnosticata la condizione, che può essere un problema comune nei casi più lievi.

Le potenziali complicanze a lungo termine includono:

- indebolimento delle ossa (osteoporosi)

- anemia sideropenica (si tratta di una condizione in cui nell'organismo non vi sono adeguati livelli di ferro e questo compromette il trasporto di ossigeno attraverso il sangue provocando, tra l'altro, stanchezza e fiato corto)

- anemia da carenza di vitamina B12 e folati

- Complicazioni meno comuni e più gravi includono alcuni tipi di cancro, come il cancro dell'intestino e problemi che interessano la gravidanza, come il bambino che ha un basso peso alla nascita.

Sarà un caso ma il grano nano si diffuse in via definitiva in tutto il mondo alla fine degli anni ’70 - inizio anni ’80, cioè esattamente quando è iniziata un’impennata clamorosa della diffusione della celiachia, come fa capire bene questo grafico (mettere grafico celiachia).

Quindi il grano dei nostri nonni era molto meno dannoso (almeno fino agli anni 70-80 del ‘900) rispetto a quello stramodificato, ibridato mille volte, bombardato con i raggi gamma e pieno di pesticidi che consumiamo ora.

Ma non è finita qui, perché anche il latte non solo era diverso da quello che si consuma adesso, ma fino agli anni ‘50 del 900 il consumo dei latticini era molto limitato, come si può vedere chiaramente da questo grafico:

Infatti, i consumi di latte e formaggi dagli anni ’50 in poi registrano un aumento che supera il tasso medio decennale del 50% e più.

I folgorati nipoti che si rendono ridicoli con la frase “Eh, mia nonna beveva latte ogni giorno e stava benissimo” non sanno quindi che il latte si è diffuso ed è entrato a far parte poi della dieta degli italiani solo da 70 anni, perché prima non c’era la tecnologia per conservarlo a lungo ed avviata la pratica della pastorizzazione.

E sempre solo dopo gli anni ‘50, si è potuto conservarlo meglio e distribuirlo più facilmente anche mediante le grandi catene commerciali, tanto che oggi consumiamo dalle 30 alle 60 volte più latte di quello che consumavano quattro generazioni fa i nostri nonni, tanto pubblicizzati dai loro indegni (e ignoranti come una scarpa) discendenti.

Essi vivevano forse meno anni di noi ma morivano di vecchiaia e senza aver mai conosciuto cose come il Parkinson o l’artrite reumatoide.

Prima del dopoguerra (e figuriamoci DURANTE la prima e la seconda guerra mondiale…) non era ancora possibile questo eccesso di consumi caseari ed era un alimento accessibile a quei pochi che vivevano nelle vicinanze di stalle e fattorie.

Innanzitutto il latte era crudo e fresco di giornata perché poi avrebbe avuto una carica batterica troppo elevata e quindi non sarebbe stato nemmeno tollerato dalla salute umana.

Certamente, c’erano anche delle commercializzazioni veramente limitate ai territori limitrofi di produzione ed ovviamente ci sono sempre state dei famiglie ricche che si approvvigionavano anche di queste prodotti caseari, ma comunque la diffusione dei latticini era molto ridotta rispetto ad oggi.

Pastorizzazione e caseina

Quindi tutto il latte attuale viene sottoposto alla pastorizzazione per abbatterne la carica batterica e aumentarne la conservabilità.
Però quando si sottopone la caseina (sia A1 che A2, vedi sotto cosa vuol dire) alla temperatura di pastorizzazione (circa 70°C), questa proteina coagula e decade, diventando una sostanza colloidale insolubile.

In questa forma la caseina è utilizzata come collante a livello industriale: è quella sostanza che permette alle etichette di rimanere incollate alle bottiglie di vetro, ad esempio.

Ecco, fate conto che vi bevete il Vinavil o la Coccoina, secondo voi come reagirà il vostro organismo?

Cosa può combinare la caseina degradata? A seconda del grado di denaturazione subito si ha una più o meno marcata alterazione della permeabilità intestinale: più il processo termico del latte è spinto, più la caseina sarà compromessa.

Per questo motivo è categorico evitare il latte a lunga conservazione: le condizioni termiche a cui è stato sottoposto sono davvero molto più violente rispetto al latte fresco da banco frigo (che comunque è pastorizzato).

Combattere l’alterata permeabilità intestinale è uno dei cardini della Geo/Paleo Diet, perché la leaky gut (intestino gocciolante) predispone a molte patologie atopiche, infiammatorie e autoimmuni; l’elenco di malattie di cui la caseina degradata aumenterebbe il rischio è lungo, soprattutto per quelle pediatriche: dermatite, eczema, raffreddore da fieno, asma, otite, tonsillite, orticaria, sclerosi multipla, psoriasi, artrite reumatoide, ecc.

Ovviamente esistono persone molto sensibili alla caseina e persone poco sensibili, quindi i sintomi a medio-lungo termine derivanti dal consumo di latte e latticini non sono uguali per tutti, ma in sostanza il latte pastorizzato nei mammiferi adulti fa male.

Ma non è finita qui: il problema delle supermucche.

La mucche da cui si ricava sono soprattutto di razza frisona olandese, che per aumentare la produzione le fanno ingozzare di cibo, tanto che prima pesavano circa 450 kg ma oggi possono arrivare anche a 700 kg.

Conseguentemente il rumine (uno dei prestomaci delle mucche) è aumentato di volume, insieme alla cavità addominale e alle mammelle, ormai grosse e pesanti. Il parto è diventato molto più difficoltoso perché lo spazio per l’ utero è più piccolo è il vitello è ovviamente più grande, ma il passaggio è sempre lo stesso.

Lo scheletro non riesce a reggere il troppo peso, le articolazioni sono conseguentemente più fragili e la loro vita media sì è ridotta da 15 a soli 6 anni.

Se ve ne fregate altamente della salute della mucche, sappiate comunque che al posto dell’ erba viene data circa 22 kg di materia secca e 130 kg di acqua al giorno; solo che l’ erba ha pochissima materia secca e quindi è come se le mucche mangiassero 400 kg di erba al giorno.

Sempre ammesso che il terreno non sia inquinato dalla diossina. Tutto questo, associato alle frequenti mungiture, permette che le vacche si demineralizzano e quindi il loro latte non contiene quasi più nulla a livello di sostanze nutritive; non si può cavar sangue da una rapa.

Non solo, la produzione giornaliera media di un mucca normale è di circa 15-20 litri al giorno, mentre dalla super vacca frisona olandese si riesce a spremere (letteralmente) fino ad oltre a 50 litri al giorno.

Ma prima che questo latte venga sulla nostra (vostra…) tavola deve essere prima sterilizzato, che per legge deve essere fatto due volte; una nel paese d’ origine e una al momento dello scarico nel paese di arrivo.

Ma non è finita, perché deve essere anche pastorizzato, eliminando così anche i batteri naturali del latte, che quindi devono essere riaggiunti industrialmente, con il ceppo però tutto uguale.

Dopo tutto questa ecatombe, il gusto di questo latte sarà quasi nullo, il profumo inesistente, contenente pochissime vitamine/minerali e dai batteri in fotocopia industriali. Il tetra-pack, cioè il caratteristico cartone che lo contiene è probabilmente molto più nutriente…

Siete ancora sicuri che il latte sia “il miglior alimento del mondo”?

Ma non è finita: ecco il problema del latte A1, cioè quello più diffuso al mondo

La maggioranza delle persone pensa che gli eventuali problemi derivati del latte dipendano solo dall’eventuale intolleranza o allergia al lattosio: niente di più falso e superficiale.

Talmente falso, che nemmeno è il tema di questo articolo che parla dei problemi del latte…

Infatti, oltre al problema della denaturazione della caseina e dello sfruttamento delle mucche che abbiamo già analizzato, c’è anche il caso delle due forme chimiche differenti del latte nel mondo: il latte A1 e il latte A2.

Le razze più antiche di mucca (così come bufalo, yak, capra e pecora) secernono latte A2, mentre quelle più moderne e largamente diffuse in Europa producono latte A1.

Le proteine del latte vaccino sono costituite da caseina per l’80%, mentre nel latte materno la percentuale cala al 35%: una bella differenza, che non dovrebbe essere sottovalutata dal momento che nei preparati di latte in polvere sostitutivi di quello materno si usano miscele di latte di mucca.

La suddivisione A1/A2 nasce perché circa 2000 anni (o forse 8000) fa le mucche del Nord Europa hanno subito un mutazione spontanea, in cui uno solo dei 209 aminoacidi della beta-caseina (come abbiamo visto la proteina più abbondante del latte), più precisamente nella posizione 67.


Le mucche A2 hanno la prolina, quelle A1 l’istidina, quindi la caseina da A2 è diventata A1, ma la caseina A1 nel corso della digestione si trasforma in una proteina simile alle lectine: la Beta-Caseomorfina-7 (β-CM7).

Nel colon umano, la β-casomorfina-7 stimola la produzione di muco dalle ghiandole MUC5AC intestinali.

La β-CM-7 (che è solo nel latte A1) nella circolazione sanguigna potrebbe stimolare la produzione e la secrezione della produzione di muco da queste ghiandole.

Questo aumento di muco e una contemporanea infiammazione provoca l'asma, oltre a favorire raffreddore e influenza. (1)
Il latte A2 attenua i sintomi gastrointestinali acuti dell'intolleranza al latte

Invece il latte A1 riduce l'attività della lattasi e aumenta i sintomi gastrointestinali rispetto al latte A2.

I sintomi gastrointestinali legati al latte possono derivare dall'ingestione β-casomorfina-7 piuttosto che di lattosio in alcuni individui.(2)

Il consumo di latte A1 è associato a (3):

• aumento dell'infiammazione gastrointestinale
• peggioramento dei sintomi della disagio digestivo post-ingestione
• transito ritardato
• diminuzione della velocità e accuratezza dell'elaborazione cognitiva

Eliminando il latte A1 si attenuano questi effetti e quindi alcuni sintomi di intolleranza al lattosio possono derivare dall'infiammazione che scatena
possono essere evitati consumando latte contenente solo il tipo A2.

Ma il latte A1 è legato anche al diabete di tipo 1, che si manifesta prevalentemente nel periodo dell’infanzia e nell’adolescenza, anche se non sono rari i casi di insorgenza nell’età adulta.

Per questa ragione fino a poco tempo fa veniva denominato diabete infantile.

Il diabete mellito di tipo 1 rientra nella categoria delle malattie autoimmuni perché è causata dalla produzione di autoanticorpi (anticorpi che distruggono tessuti e organi propri non riconoscendoli come appartenenti al copro ma come organi esterni) che attaccano le cellule Beta che all’interno del pancreas sono deputate alla produzione di insulina.

Come conseguenza, si riduce, fino ad azzerarsi completamente, la produzione di questo ormone il cui compito è quello di regolare l’utilizzo del glucosio da parte delle cellule. Si verifica, pertanto, una situazione di eccesso di glucosio nel sangue identificata con il nome di iperglicemia.

La β-casomorfina-7 del latte A1 si lega alle cellule del pancreas che producono insulina e in questo modo la proteina stimola il sistema immunitario ad aggredire il pancreas di chi beve il latte (e derivati) delle mucche A1. (4)

Questa addirittura potrebbe essere la PRIMA CAUSA del diabete di tipo 1

In Cina (e in generale in Asia) fino a qualche decennio fa i latticini non venivano assunti per cultura e (chissà perché…) il diabete di tipo 1 era quasi sconosciuto, ma poi vennero introdotti i derivati del latte…

A Shanghai, l'incidenza tra i bambini di età 15 anni è aumentata a un tasso del 14,2% all'anno tra il 1997 e il 2011. (5)

A Zhejiang nei bambini di età sotto i 5 anni il diabete 1 ha un tasso del 33,61% all'anno.

L’ incidenza del diabete di tipo 1 in Cina negli ultimi anni si riflette in un aumento del consumo pro capite di latticini tra i residenti urbani: da circa 6 kg nel 1992 a 18 kg nel 2006.

Non c’è alcun dubbio: il latte A1 è sicuramente uno dei responsabili dell’ epidemia mondiale di diabete di tipo 1 ed altre malattie autoimmuni, insieme alle concause quali:

1) Aumento dell’ esposizione alla proteina A1 del latte
2) Cessazione precoce dell’allattamento e introduzione di antigeni dal cibo
3) Esposizione alla vitamina D
4) Influenza sul microbiota intestinale (dieta, farmaci, igiene eccessivo, altro)

Fattori scatenanti

5) Β-caseina A1, peptidi oppioidi β-casomorfina (BCM), altro?

Fattori permissivi intestinali:

6) Immunità aberrante della mucosa
7) Microbioma intestinale aberrante
8) Altri cambiamenti cellulari, biochimici e psicologici

+ Fattori genetici = Diabete di tipo 1

Più specificatamente la concausa potrebbe essere anche il batterio “Mycobacterium avium subspecies paratuberculosis (Map)” (6).

Questo batterio potrebbe essere una della cause, oltre che del diabete di tipo 1, anche di sclerosi multipla e tiroidite di Hashimoto.

Il Map colpisce gli animali da allevamento ma non contagia l’uomo.
C’è una maggiore incidenza riscontata in Sardegna (e nei paesi del nord Europa) delle due malattie autoimmuni (diabete e SM) in coincidenza con una maggiore incidenza proprio della Map di bovini e ovini. (7)

L’ ipotesi è che abbia luogo un processo chiamato “mimetismo molecolare”

Negli individui geneticamente predisposti il sistema immunitario può reagire contro proteine del proprio corpo, scambiandole per quelle del micobatterio, che sono simili.

Le mucche diffuse nel Nord Europa e in Sardegna, che producono latte A1 e portatrici del Mycobacterium avium subspecies paratuberculosis sono le Holstein.

Gli allevatori le preferiscono a quelle che producono A2 perchè sono più forti e producono più latte.

Cosa che non succede invece nelle rare popolazioni di cacciatori-raccoglitori che consumano comunque limitate quantità di latte, peraltro crudo, che utilizzano da sempre mucche di tipo A2.

Traduzione:

Differenze anatomiche tra i bovini che producono latte A1 e A2.

A1:

1.Questo tipo di mucca non ha lembi di pelli
2. Non ha la gobba
3. La sua schiena è dritta per tutta la sua lunghezza

A2:

1. la razza indiana delle mucche ha lembi di pelle
2. Ha la gobba
3. La sua schiena è curva, specialmente vicino alla coda

Questo è possibile affermarlo perché le mucche A1 e A2 hanno un anatomia differente e caratteristica, in particolare le A2 hanno una gobba molto pronunciata, come i bovini degli tribù degli Hadza in Tanzania.

Ma anche i Masai anche le mucche A2

Tutto questo l’ho scritto per rispondere ai soliti fenomeni che al grido: “Eh, però anche i Masai e gli Hadza bevono latte e stanno benissimo!”, pensano di smentire definitamente le basi della paleo diet!

In realtà le cose, come è tutta evidenza, stanno molto diversamente perché:

1) Il latte da lora consumato è crudo, A2, non pastorizzato, proveniente da mucche al pascolo libere di circolare e non alimentate da cereali rinchiuse negli allevamenti intensivi. In questo modo il latte e il burro ricavati sono pieni di vitamina K2, vitamina A e vitamina D fondamentali per buona salute. Nutrienti che, come abbiamo già visto sopra, non è possibile avere dal latte A1 delle povere mucche sfruttate.

2) Sia gli Hadza che i Masai stanno tutto il giorno al sole, avendo quindi una quantità di vitamina D ne sangue molto superiore a quella occidentale, cosa che li protegge dalle malattie in genere e in particolari da quelle autoimmuni (come il diabete 1) scatenate anche dalla carenza di questa vitamina.

3) La dieta tipica dei Masai (8) consiste in latte crudo, carne, grasso, sangue, miele e corteccia di alcuni alberi. Nessun cibo trasformato. Invece, quella degli Hadza (9) consiste quasi interamente in cibo che trovano nella foresta, inclusi frutti di bosco, tuberi ricchi di fibre, miele e carne selvatica. Nessun cibo trasformato.

Insomma, l’ alimentazione delle due tribù è la Paleo Diet (e molto Geo…) pura e semplice, in cui viene inserito solo un tipo di latte nutriente, non geneticamente alterato, munto da mucche non sfruttate, estremamente meno problematico del nostro e in un quadro di vitamina D altissima: ecco spiegato il motivo della loro salute di ferro.

A questo punto possiamo ricapitolare i punti cardini del perché “Mio nonno è morto a 90 anni e mangiava di tutto” è una delle più grandi idiozie che si possano dire:

Grano:

1) Fino agli 80 del 900 non era possibile per i nostri nonni o genitori consumare il grano modificato, ibridato e bombardato con raggi gamma per creare la varietà “nana”, per aumentare la resa dei raccolti.

Ma questo tipo di grano è fortemente velenoso e può provocare:

• Aumento dell’appetito, eccesso desiderio di cibo.

• Picchi di zucchero nel sangue che innescano cicli di picchi di energia. Anche i livelli fluttuanti di zucchero nel sangue

contribuiscono ai problemi che coinvolgono l’insulina e sono il fattore di rischio principale per il diabete.

• Maggiori rischi per la sindrome metabolica e fattori di rischio di malattie cardiache, compresi i livelli di colesterolo alto e i trigliceridi.

• Problemi relativi al processo di glicazione che sta alla base della malattia e dell’invecchiamento.

• Effetti negativi sulla salute dell’intestino,
compresa la sindrome dell’intestino irritabile, che scatena reazioni infiammatorie e problemi digestivi come gonfiore e stitichezza.

• Alterazioni nel livello del pH del corpo

• Stanchezza, debolezza e mancanza di concentrazione mentale

• Degenerazione della cartilagine e più alto rischio di problemi come l’artrite o dolori articolari.

Latticini

2) Fino agli anni 50 del 900 il latte di mucca veniva consumato in maniera limitata perché non esisteva la pastorizzazione, quindi non poteva essere conservato a causa della carica batterica troppo elevata e conseguentemente dannoso per la salute umana.

La verità è che solo nella storia recente si è diffuso il latta di mucca, perché nella preistoria il primo latte munto è quello di capra, prima ancora di quello di pecora (A2), e probabilmente l’arte casearia è stata inizialmente applicata a questa materia prima.

Gli ovini, insieme alle capre, furono quindi i primi animali addomesticati dall’uomo per essere allevati quando ancora eravamo nomadi, e se pecore e capre lo furono essenzialmente per il loro latte, e infine per la carne, le vacche e i bufali vennero introdotti con le prime coltivazioni come forza lavoro.

Per gli antichi greci e romani, il latte per eccellenza era quello di pecora o capra.

l consumo di latte e formaggi bovini prende piede solo nel Medioevo, quando nasce infatti il formaggio grana.

Il latte di capra è l’alimento dell’infanzia in tutte le civiltà mediterranee e del vicino Oriente, ed è citato dai massimi poeti dell’antica Roma, come Catullo e Virgilio. Anche Papa Leone XIII ne consuma quotidianamente, così come Gandhi.

Odiernamente, nei paesi del Terzo Mondo l’allevamento della capra ed il suo latte costituiscono un fondamento alimentare molto diffuso e infatti non hanno danni da latte di mucca.

Fino a pochi decenni fa in molte zone d’Italia il latte eventualmente utilizzato non era quindi bovino ma anche e soprattutto di pecora, capra, asina e bufala: tutti A2.

Ma all'inizio del XX secolo il latte di capra, ha registrato una netta contrazione dei consumi, ovviamente a favore del latte di mucca.
Tuttavia, per molti decenni (almeno fino appunto a 20-30 anni fa), comunque le mucche non erano ingozzate di cibo e fatte ingrassare alla morte, il latte era comunque ancora abbastanza pieno di nutrienti e il terreno dove mangiavano non aveva glifosato ed altre sostanze tossiche ed inquinanti.

Ora, per ritornare al titolo di questo articolo facciamo l’ esempio proprio di… mia nonna!

Palmina, così si chiamava, era nata a Foligno (Perugia) nel 1901 ed è morta a 94 anni, ciò vuol dire che la probabilità che di avere (per esempio), un cancro da celiachia, era quasi zero, visto che è morta nel 1995 e quindi per gran parte della sua vita non ha mai consumato il grano nano.

Adesso iniziate a comprendere che “mia nonna è morta a 90 anni” è una frase che inizia a diventare sempre più senza alcun senso logico e scientifico?

Ricapitoliamo il tutto:

I nostri nonni hanno passato la maggior parte della loro vita con un grano non modificato geneticamente e fortemente tossico, con poco latte di mucca (o non ancora da mucche sfruttate, ecc.), oppure con quello A2, certamente non problematico come quello A1.

Spero che tutto questo fermi per sempre l’istinto di tirare stupidamente fuori gli antenati ogni volta si parla di eliminare grano e latticini: ne va della salute, benessere tuo e dei tuoi cari.

Ma ho l’impressione che dovremo sentire questa ridicola frase tante alte volte ancora, fino a quando le persone che diventeranno un giorno nonne hanno circa 20-30 anni al giorno d’oggi.

Ma a quel punto non si sarà proprio nulla, ma veramente nulla, da ridere.

Bibliografia:

Med Hypotheses. 2010 Apr;74(4):732-4. doi: 10.1016/j.mehy.2009.10.044. Epub 2009 Nov 25. Does milk increase mucus production? Bartley J1, McGlashan SR.

Nutr J. 2017 Oct 25;16(1):72. doi: 10.1186/s12937-017-0275-0. Effects of cow's milk beta-casein variants on symptoms of milk intolerance in Chinese adults: a multicentre, randomised controlled study. He M1, Sun J2, Jiang ZQ3, Yang YX4,5.

Nutr J. 2016 Apr 2;15:35. doi: 10.1186/s12937-016-0147-z. Effects of milk containing only A2 beta casein versus milk containing both A1 and A2 beta casein proteins on gastrointestinal physiology, symptoms of discomfort, and cognitive behavior of people with self-reported intolerance to traditional cows' milk. Jianqin S1, Leiming X2, Lu X3, Yelland GW4,5, Ni J6, Clarke AJ7.

«Nutrition & Diabetes» - A1 beta-casein milk protein and other environmental pre-disposing factors for type 1 diabetes J S J Chia, J L McRae, S Kukuljan, K Woodford, R B Elliott, B Swinburn & K M Dwyer. 15 May 2017

«Nutrition & Diabetes» - A1 beta-casein milk protein and other environmental pre-disposing factors for type 1 diabetes J S J Chia, J L McRae, S Kukuljan, K Woodford, R B Elliott, B Swinburn & K M Dwyer. 15 May 2017

Sci Rep. 2016 Feb 29;6:22266. doi: 10.1038/srep22266. Type 1 Diabetes at-risk children highly recognize Mycobacterium avium subspecies paratuberculosis epitopes homologous to human Znt8 and Proinsulin. Niegowska M1, Rapini N2, Piccinini S2, Mameli G1, Caggiu E1, Manca Bitti ML2, Sechi LA1.

Association of Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis with Multiple Sclerosis in Sardinian Patients Davide Cossu, Eleonora Cocco, Daniela Paccagnini, Speranza Masala, Niyaz Ahmed, Jessica Frau, Maria Giovanna Marrosu, Leonardo A. Sechi Published: April 13, 2011

https://www.exploring-africa.com/kenya/il-popolo-masai/le-abitudini-alimentari-dei-masai

Seasonal cycling in the gut microbiome of the Hadza hunter-gatherers of Tanzania - Samuel a. Smits e altri – Science - 25 Aug 2017 • Vol 357, Issue 6353 • pp. 802-806. https://www.science.org/doi/10.1126/science.aan4834



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